Politica internazionale - - L'opinione del sociologo

Bric, i marò e le debolezze dell’Italia

di Francesco Mattioli


Pubblicato il 9 marzo 2012 in: Attualita, L'Analisi,


Francesco Mattioli

- Bric è una sigla che da diversi anni ormai ha assunto un ruolo chiave per comprendere molti fenomeni internazionali, dalle dinamiche socioeconomiche a quelle politiche. Sono le iniziali di Brasile, Russia, India e Cina, i paesi economicamente emergenti, per molto tempo esclusi dal circolo più esclusivo delle economie altamente industrializzate.

Il Bric spiega gli incidenti a cui è andata incontro l’Italia in questi ultimi anni. E non solo l’Italia: il traffico di prodotti contraffatti e pericolosi che si trascina dalla Cina al nostro paese è condiviso e subìto anche da altre nazioni occidentali; il taglieggiamento sotterraneo che la Russia mette in atto grazie ai suoi gasdotti riguarda l’Italia ma anche altri paesi industrializzati.

Cina e Russia del resto sono ancora in preda alla sindrome della tigre imperialista, e segnatamente americana, e questo li induce persino a tollerare i massacri di Assad e la corsa agli armamenti dell’Iran.

Ma Cina e Russia sono anche due mercati emergenti, dove l’industria europea e americana – si pensi a quella automobilistica, ormai asfittica in occidente – può fare buoni affari.Questo giustifica l’atteggiamento morbido che i paesi industrializzati dell’occidente mantengono nei loro confronti, anche a proposito di tragedie come quella della Siria.

Diverso il caso di Brasile e India. Gli schiaffoni di questi due paesi Bric di recente sono andati dritti dritti all’Italia.

Il Brasile di Lula, facendosi beffe del diritto internazionale e cogliendo una ben squallida occasione per esaltarsi della propria indipendenza dal capitalismo occidentale, ha permesso che un criminale mascherato da perseguitato politico, come Cesare Battisti, andasse libero. Il Brasile è il principale mercato della Fiat e l’interscambio economico con l’Italia è in crescita.

A ben vedere, in questa faccenda l’Italia non ha fatto la voce grossa: certo, si è affidata ai migliori esperti del diritto, confidando che queste faccende si risolvessero con le leggi internazionali e i gentlemen’s agreements fra stati. La verità è che l’Italia non aveva nessun elemento per negoziare sul piano economico e politico: è il Brasile che è nel Bric, non l’Italia, noi siano in recessione, loro crescono al ritmo del cinque per cento l’anno.

L’India. Allo stato attuale non siamo sicuri se i marò italiani della petroliera Lexie abbiano ucciso per sbaglio quei poveri pescatori indiani – forse è anche vero – ma un fatto è certo: che, in spregio delle regole vigenti in materia di acque internazionali, l’India si è arrogata il diritto di arrestare i due militari, trattando peraltro con grande supponenza i diplomatici del nostro paese.

Forti di un diritto internazionale a cui evidentemente crediamo solo noi (e gli indiani ce lo hanno fatto capire), ci siamo consegnati alle autorità dell’India sicuri delle nostre ragioni. Ancora una volta abbiamo riposto le nostre certezze nel diritto. Il che ci fa onore, ma viene il dubbio che non avremmo potuto fare diversamente, perché l’India è un mercato privilegiato, verso i quale non possiamo chiudere le porte. Anche qui, la verità è che l’India è nel Bric, noi siamo in recessione e loro crescono del 7,5 per cento.

Che fare, allora, con i Bric? Temo che purtroppo sarebbe necessario incominciare ad avere una fiducia condizionata nel diritto internazionale, cioè a rendersi conto che invocarlo nei confronti di certi paesi può essere ozioso. Va tenuto presente che lo schieramento etico del mondo è tutt’altro che compatto; molti paesi orientali hanno sottoscritto una nuova dichiarazione sui diritti dell’uomo, quella di Bangkok, che va in controtendenza con quella del 1948, che ritengono troppo ispirata ai valori occidentali.

Tra l’altro nella dichiarazione di Bangkok si sottolinea che la libertà dell’individuo può essere sacrificato all’interesse collettivo, giustificando così i regimi dittatoriali, politici e teocratici, di molti paesi orientali e mediorientali.

In secondo luogo, non potendo competere economicamente con i Bric, è meglio evitare di mettersi nelle loro mani (come ha fatto la Lexie) perché, almeno noi italiani, non abbiamo una vera forza di scambio.

Terzo, se proprio si vuol fare un discorso di principio, da gentiluomini, allora è bene andare fino in fondo, rispondendo con provvedimenti diplomatici “forti”, anche se puramente formali, che costituiscano un segnale inequivocabile della propria fermezza.

Nell’affare Cermis, gli Stati Uniti, di cui pure siamo alleati privilegiati e partner economici, senza tante discussioni si sono portati via il loro militare, se lo sono giudicato per conto loro e se lo sono praticamente assolto. Una offesa alla giustizia, certo; ma anche un ceffone alla nostra sovranità nazionale che noi, da inveterati e servili levantini, siamo sempre disposti a sacrificare pur di arraffare qualche moneta.

La dignità, l’autorevolezza e la credibilità di un paese, a livello internazionale, non si fonda esclusivamente sulla sua potenza economica, sulla sua solvibilità finanziaria e sulla rettitudine giuridica, ma anche sulla capacità di non venire a patti con chi ne offende la dignità e si fa beffe delle sue ragioni. In questo, Francia e Regno Unito – altrettanto in difficoltà quanto noi con i paesi Bric – hanno qualcosa da insegnarci.





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